Si riporta la recentissima pronuncia della Corte d’Appello di Bologna utile per ben comprendere i limiti territoriali del patto di non concorrenza.
“Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 20/11/2019 l’odierna appellante ha adito il Tribunale di Ravenna quale
Giudice del Lavoro contestando che, sotto diversi profili, il proprio ex dirigente B.M., in forza all’azienda
dal 01/05/1998 (assunto con qualifica di impiegato di livello A quale funzionario di vendita nel settore
ortofrutticolo e della grande distribuzione, per gli articoli di imballaggio e manufatti affini, dal
01/05/2013 con qualifica di International Sales Manager Groupe G. Produce Division con riconoscimento
della qualifica di dirigente) al 19/02/2019, data delle dimissioni, avrebbe reiteratamente violato il patto
di non concorrenza esistente inter partes.
Si evidenziava in ricorso, sotto un primo profilo come il solo fatto che lo stesso sig. B. fosse assunto
presso una società oggettivamente concorrente nell’attività produttiva con quella dell’esponente (ossia
la C.P. SPA), specie nel settore dei prodotti di imballaggio per il mercato ortofrutticolo e grande
distribuzione, unita alle circostanze non controvertibili per le quali: (a) C.P. SPA ha sede legale,
amministrativa e stabilimenti produttivi in Italia, (b) quest’ultima svolge la sua attività sul territorio italiano e (c) che il B. aveva un ufficio in Italia, costituivano elementi di per sé dirimenti per far
accertare l’intervenuta violazione del patto di non concorrenza. L’azienda evidenziava poi che il B.
sarebbe incorso in violazioni del patto per avere partecipato dapprima, alla fiera M. di Rimini in qualità
di espositore, fiera tenutasi dal 08/05/2019 al 10/05/2019 e avente ad oggetto proprio gli imballaggi
nel settore ortofrutticolo; e successivamente in data 20/09/2019, partecipava personalmente in
rappresentanza della società C.P. al convegno denominato “Fattore R – La Romagna e i talenti”,
convegno che aveva l’espressa finalità di offrire “… un’occasione unica per discutere assieme ad illustri
rappresentanti del mondo dell’imprenditoria e delle istituzioni sullasituazione economico-finanziaria
del territorio. …”.
Sotto altro profilo, invece, è stato evidenziato come sempre il sig. B. abbia assunto ulteriori condotte in
aperta violazione con il patto di non concorrenza, avvicinando dipendenti e collaboratori del gruppo G.
(capo gruppo e società controllante di N.), prospettando di passare in C.P.. Difatti, il sig. J.B. veniva
avvicinato dallo stesso sig. B. per prospettargli di lasciare la sua attuale occupazione lavorativa – alla
società S.A., appartenente al gruppo G. – per passare alla C.P..
Veniva infine censurato al sig. B. il fatto che, appena insediatosi presso la C.P., ha cominciato anche a
inoltrare comunicazioni a società clienti di N., e da lui conosciute in ragione del trascorso lavorativo con
l’esponente, onde proporre i prodotti della concorrente C.P., e tanto estraendo dai data base di N.
l’intero portafoglio clienti utilizzato onde far conseguire un indebito vantaggio alla sua nuova datrice di
lavoro, in danno dell’esponente.
Nel giudizio rubricato RG 909/19 si costituiva il sig. B., da una parte contestando la ricostruzione in fatto
così come descritta dall’azienda, eccependo preliminarmente la nullità del patto di non concorrenza
per inesistenza del corrispettivo, nel merito insistendo per il rigetto delle domande e in subordine per
la riduzione della penale prevista nel patto di non concorrenza ex art. 1384 c.c.
Il Giudice disponeva l’ammissione di alcuni capitoli di prova articolati dalle parti ed assunta la prova
testimoniale nelle udienze del 26/05/2021, 17/09/2021, 10/11/2021 e 29/04/2022 , rinviava per la
discussione conclusiva all’udienza del 17/05/2022 all’esito della quale, con sentenza n. 96/2022
rigettava le domande formulate da N. SPA con condanna di quest’ultima al pagamento delle spese di
lite nella complessiva misura di Euro 23.450,00 oltre accessori di legge.
Appella N. SPA censurando la decisione con quattro motivi non specificamente titolati ma così
riassumibili: 1) la corretta interpretazione del “territorio italiano” del P.; 2) la partecipazione del
Lavoratore alla fiera internazionale “M.” quale violazione del P.; 3) 1′ attività di storno riferita ai sig.ri
J.B. e A.H.; 4) il contatto tra il Lavoratore e il sig. F.B..
Resiste M.B. chiedendo il rigetto dell’appello.
All’udienza del 19/10/2023 la causa è stata posta in decisione previa discussione orale.
Motivi della decisione
L’appello non è fondato e va respinto.
Con il primo motivo di appello, la Società contesta l’interpretazione fornita dal Tribunale circa il
concetto di “territorio italiano”, inteso quale ambito spaziale del patto di non concorrenza.
Secondo la tesi dell’appellante le attività vietate dal P. sarebbero circoscritte all’interno del territorio
italiano, da intendersi prettamente come divieto di trovarsi fisicamente all’interno del perimetro
nazionale nel momento in cui viene resa la prestazione lavorativa.
Va premesso che il patto di cui si discute recita testualmente -per quanto qui di interesse-:
“5. Il Sig. B.M. si impegna per il periodo di due anni successivo allo scioglimento, per qualsiasi ragione o
causa, del rapporto di lavoro con la Società a non svolgere attività identiche o similari a quelle svolte
alle dipendenze della Società, già specificate al punto 2 che precede, e quindi si impegna a non svolgere, in concorrenza con la Società, le attività di commercializzazione e vendita di articoli di
imballaggio e manufatti affini e di tutti i prodotti riferentesi all’industria delle materie plastiche per
l’imballaggio, nonché ogni altra attività ad esse ausiliaria e/o connessa.
6. Il sig. B.M. si impegna a non svolgere le attività di cui al punto 5 che precede e per il periodo ivi
previsto esclusivamente nel settore ortofrutticolo e della grande distribuzione, sia direttamente che
indirettamente, sia per proprio conto che come dipendente o consulente, con o senza vincoli di
subordinazione, a favore della società, enti e/o persone fisiche che svolgono attività identiche o
similari nei medesimi settori. …
7. Le parti precisano altresì che sarà considerato comportamento in concorrenza con la Società e quindi
precluso al Sig. B.M. per tutta la durata del presente accordo l’assunzione, la collaborazione o
comunque qualsiasi forma di storno di dipendenti o persona in qualsiasi modo incaricata o
collaboratrice della Società, effettuato in forma diretta o indiretta dal sig. B.M..
8. Il sig. B.M. si obbliga inoltre per tutta la durata del presente accordo a non utilizzare in qualsiasi
modo né divulgare e/o rilevare a nessuno notizie, fatti ed informazioni di natura commerciale,
riguardanti rapporti con clienti e fornitori, nonché notizie, fatti ed informazioni comunque attinenti
all’organizzazione della Società, alle innovazioni, agli studi ed alle applicazioni produttive di cui sia
venuto a conoscenza durante il rapporto di lavoro con la Società stessa.
9. Gli obblighi assunti dal sig. B.M. nei confronti della società di cui ai punti 5. 6 e 7 che precedono
hanno effetto esclusivamente e limitatamente sul territorio italiano.
10. La Società si impegna a corrispondere, per la durata del rapporto di lavoro, al Sig. B.M. a fronte degli
obblighi da quest’ultimo assunti con il presente accordo, una somma pari al 15% della retribuzione
ordinaria lorda mensile riconosciuta al Sig. B.M.. Tale importo varierà pertanto in funzione delle
variazioni della retribuzione riconosciute al Sig. B.M. nel corso del rapporto di lavoro. Le parti precisano inoltre che il suddetto importo verrà corrisposto mensilmente, congiuntamente e contestualmente alla retribuzione ordinaria. …”.
In ordine all’interpretazione del limite territoriale il Tribunale di Ravenna ha affermato (estrapolando
una sintesi del complesso ragionamento): “L’ambito territoriale del patto va ravvisato nel solo mercato italiano. Il riferimento al territorio italiano, infatti, non può che essere riferito all’ambito del mercato di riferimento e non già alla sede di lavoro del lavoratore (né tantomeno alla sede legale del datore di lavoro). Il tipo di rapporto intercorso tra la ricorrente ed il lavoratore, infatti, vedeva quest’ultimo quale addetto commerciale. Ne consegue che l’ambito applicativo del patto va parametrato all’ambito commerciale di operatività dell’azienda. E quindi territorio italiano significa mercato italiano”.
Al contrario, l’appellante ritiene che non rilevino le attività effettivamente eseguite da B., né i mercati
in favore dei quali queste attività siano svolte, ma esclusivamente il luogo fisico della sede di lavoro.
Questa Corte condivide il ragionamento svolto dal Tribunale di Ravenna e l’esegesi dallo stesso operata della clausola territoriale.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla società, un’interpretazione coerente con la realtà socioeconomica in cui agiscono attualmente gli operatori economici, imprese e lavoratori, richiede
necessariamente che il concetto di “territorio” ex art. 2125 c.c. non venga rigidamente inteso come
perimetro fisico dove collocare o meno una postazione di lavoro (specie per lavori di natura
intellettuale ed eseguiti per il tramite di strumenti tecnologici e rete internet), bensì quale spazio nel
quale si riflettono gli effetti della prestazione lavorativa del lavoratore in questione, tanto più in un
settore, come quello del packaging ortofrutticolo, sempre più globalizzato e non ancorato
necessariamente a realtà locali, come correttamente evidenziato nella Sentenza di Primo Grado che
valorizza all’uopo le prove testimoniali raccolte in istruttoria.
Ciò trova ulteriore conferma in un caso, come quello di specie, in cui B. (come confermato dai testi G.L. e M.P.) si occupa esclusivamente del mercato estero, in linea con il suo ruolo di “direttore commerciale
estero”. Il teste P. ha, infatti, identificato B. come il suo “collega per le vendite all’estero” e ha
dichiarato che “quando lavoro con il dott. B. si lavora per lo sviluppo del mercato estero, esiste una
direzione per il mercato italiano specifica”. Ciò è evidente anche dal fatto che i testi sentiti in sede di
istruttoria in primo grado, dipendenti di imprese che operano negli stessi settori di N. e C.P. (clienti,
fornitori ecc.) e che avrebbero avuto contatti con B. a seguito della sua assunzione in C.P. o relazioni
professionali ai tempi di N., siano soggetti stranieri, che si occupano di mercati esteri.
Per altro il B. -altro dato emerso dall’istruttoria e comunque ex se non contestato all’appellante trascorre gran parte del suo tempo lavorativo all’estero e quando non è in trasferta per lavoro, non opera dalla sede legale della C.P. (via P. B., 6, R. (B.), né nell’altro stabilimento aziendale in I. (via A. Z., R., (B.), come invece fanno gli altri dipendenti di C.P., bensì da un ufficio sito in via C., 12 a I. (B.), vicino alla sua residenza di via F. 1/M, B. di R. e utilizzato, di fatto, solo da lui, senza contatti di persona con
colleghi italiani.
Per altro, l’interpretazione fornita dall’appellante, secondo la quale B. avrebbe violato l’obbligo di non
concorrenza perché il suo ufficio è sito in Italia, nonostante si occupi esclusivamente di mercati esteri,
in Italia non stia quasi mai e non lavori nella stessa sede dei colleghi assegnati al mercato italiano,
appare contraddittoria, in quanto facilmente eludibile.
Interpretando in questo modo il concetto di “territorio”, infatti, B. avrebbe potuto rispettare il P.
dedicandosi esclusivamente al mercato italiano (ad esempio con il ruolo di Direttore Italia), purché
fisicamente collocato in un ufficio estero., come esattamente rileva il Tribunale di Ravenna “posto che
sarebbe consentito di andare a lavorare in territorio estero (sarebbe sufficiente l’apertura di un ufficio
a San Marino invece che ad Imola, come successo nel caso di specie). E in quest’ultimo caso all’ex
lavoratore e alla sua nuova compagine commerciale sarebbe consentita la penetrazione nel mercato
italiano (e, dunque, lo svolgimento di attività concorrenziale rivolta a tale mercato) senza limiti di
sorta” (pag. 5 sentenza).
Al contrario, il P. non può considerarsi violato nel momento in cui B. ha assunto un ruolo di portata
esclusivamente internazionale e ha lavorato, seppur fisicamente in Italia, dedicandosi interamente ai
mercati esteri.
L’interpretazione elastica del concetto di “territorio” qui proposta appare non solo la più adeguata da
un punto di vista logico, alla luce del ruolo ricoperto in concreto dal Lavoratore e del reale impatto
della sua attività, ma anche l’unica possibile in virtù del principio di conservazione del contratto:
l’interpretazione propostadall’appellante, infatti, avrebbe come conseguenza immediata la non
determinabilità del territorio coperto dal P., perché, a quello italiano, andrebbe aggiunto quello estero
(non meglio specificato).
Il patto, quindi, sarebbe esteso di fatto a tutto il mondo (Italia ed estero) e conseguentemente nullo.
Pertanto, l’unica interpretazione che fa salvo il P. è quella per cui per “territorio” deve intendersi non
tanto lo spazio fisico dove è collocato l’ufficio del lavoratore, quanto quello in cui la sua prestazione
lavorativa produce effettivi riflessi.
Con il secondo motivo di appello, la società lamenta che il Giudice di primo grado avrebbe
erroneamente considerato la fiera M., tenutasi a Rimini tra 1’8 e il 10 maggio 2019 e alla quale B. ha
presenziato, come un evento “internazionale”, invece che, secondo l’appellante, “nazionale”.
Da ciò la Società ne farebbe discendere una violazione del P., perché la partecipazione alla fiera M.
sarebbe una evidenza dell’attività di B. nel territorio italiano e per il mercato italiano. In particolare, il
Giudice di prime cure non avrebbe considerato che: 1) essendosi la fiera svolta fisicamente a Rimini,
quindi in Italia, vi sarebbe una violazione degli obblighi di non concorrenza sotto il profilo territoriale;
2) pur avendo la fiera M. natura internazionale, “ha il suo ancoraggio nel mercato italiano”.
Quanto al primo punto, valgono le considerazioni già esposte per il primo motivo di appello: è pacifico
che la fiera si sia svolta sul territorio italiano e B. vi abbia preso parte, ma la portata dell’evento nulla
ha a che fare con il territorio / mercato italiano, come confermato dalle testimonianze raccolte in sede
istruttoria: – teste P.: “M. è una fiera internazionale” ; – teste D.P. “M. la definirei più che una fiera
internazionale una fiera regionale (…) Per ” regionale” intendo principalmente italiana ed anche un po’
internazionale” ; – teste H.: “Credo che la M. di Rimini sia una fiera internazionale, ma la maggior parte
delle persone presenti vengono dall’Europa” e infatti lui ha stesso ha dichiarato di averci partecipato
nonostante si occupi “del mercato tedesco”.
È chiaro, quindi, che M. sia una fiera dedicata al mercato internazionale e non locale (come si può
intuire, tra l’altro, guardando anche ai testi che vi hanno preso parte) e la partecipazione di B. sia
dunque coerente con il suo ruolo di direttore commerciale estero.
Quanto al secondo punto, il fatto che la fiera sia fisicamente svolta in Italia non significa che abbia un
“ancoraggio” (in ogni caso, non provato in alcun modo) con l’Italia. Al contrario, la vocazione
internazionale della fiera è evidente anche dalla nazionalità degli operatori partecipanti, tra l’altro
menzionati dalla Società nel proprio ricorso (“Quanto alle società avvicinate dal sig. B. onde proporre in
vendita e/o comunque commercializzare i prodotti della C.P. vi sono state: T. (società greca) – F.
(società svizzera) – P. (società tedesca) – M.V. (società tedesca) – P. (società ungherese) e A. (società
slovena)”, oltre che dal sito internet della stessa come riportato dall’appellato.
Con il terzo motivo si censura la sentenza di Primo Grado nella parte in cui non ha qualificato da un lato
la conversazione avuta tra B. e il sig. J.B. alla Grape Conference di Londra del 2019 e dall’altro
l’assunzione del sig. A.H. in C.P. come condotte integranti un illecito storno di dipendenti.
In merito al sig. J.B., B. non ha mai avviato alcuna negoziazione per proporgli una assunzione in C.P.,
come dichiarato dallo stesso B.: “Non ho ricevuto da B. una proposta formale di lavoro”.
Va chiarito che B. e B. si conoscevano da anni, visto che entrambi sono stati dipendenti di società del
gruppo G. (B. di N. e B. di S.A.); appare coerente la spiegazione fornita dall’appellato, che essendosi i
due incontrati alla Grape Conference di Londra del 2019, si siano intrattenuti per degli ordinari saluti di
cortesia, chiacchierando anche della nuova avventura professionale di B., il quale ha “menzionato la
possibilità che ci poteva essere un ruolo futuro” per B. in C.P..
Tali parole non concretizzano nessuna trattativa e tanto meno offerta commerciale, tanto che B. non è
mai confluito in C.P..
Per altro, è emerso dall’istruttoria che sono stati gli stessi dipendenti del gruppoG. a salutarlo in
occasione di M. e a intrattenersi per ordinari saluti di cortesia, episodio che va contestualizzato nel
fatto che B. era stato loro collega per anni.
Quanto al passaggio del sig. A.H. in C.P., avvenuto nelle more del giudizio di primo grado, tale episodio è
estraneo all’ambito applicativo temporale del patto di non concorrenza: B. ha terminato il rapporto di
lavoro con N. il 19 aprile 2019 e il sig. H. è stato assunto a ottobre 2022, quando il vincolo relativo al P.
era già terminato, come tra l’altro ammesso dalla stessa parte appellante.
In ogni caso, quindi, l’assunzione del sig. H. resterebbe estranea ai vincoli del P..
Va osservato comunque che , indipendentemente dal momento dell’assunzione del sig. H., questa non è
in alcun modo riconducibile ad un intervento di B., e la stessa appellante nulla allega a tal proposito,
ma si limita ad affermare genericamente, e senza prove, che sarebbe un ” indice del modus operandi” di
B..
Allegazione tuttavia del tutto sfornita di logica, prima ancora che di prova.
Con il quarto motivo d’appello, l’appellante contesta che il Giudice non avrebbe valorizzato la conversazione via whatsapp tra F.B. e B. quale ulteriore elemento indice di una condotta in violazione
degli obblighi di non concorrenza e non storno assunti con il P..
La conversazione (doc. 17) -tradotta dallo spagnolo- è la seguente:
Si tratta di uno scambio di battute brevissimo, in cui B. si è limitato a comunicare al sig. B. di aver
cambiato numero di telefono e intrapreso un nuovo lavoro. Solo a richiesta del sig. B., B. ha dato il
nome del nuovo datore di lavoro e ha chiuso la conversazione.
Sul punto, il Giudice di primo grado ha correttamente sottolineato “che non vi sia stata alcuna attività
anticoncorrenziale è talmente evidente che a tale messaggio non seguirà alcuna … concreta attività
anticoncorrenziale (che sarebbe stato facile documentare vista la fedeltà del dipendente in questione
che, ricevuto il messaggio di cui sopra dal B., lo ha prontamente fornito alla ricorrente)”.
Controparte asserisce che, oltre alla chat appena descritta, vi sarebbe stato un altro contatto tra B. e B.
la settimana successiva, sulla scorta di quanto dichiarato dal teste D., chiamato a commentare lo
scambio whatsapp sub doc. 17 (“Sì mi ricordo questa conversazione. La documentazione riporta il
secondo messaggio che era stato preceduto da un primo messaggio nel quale B. informava P.B. che
avrebbe terminato la sua relazione lavorativa quella settimana e che l’avrebbe contattato la settimana
successiva dalla nuova azienda. Quando ho ricevuto questo messaggio era presente alche il Sig. B.”.
ADR: ” Conosco P.B. perché è a capo della vendita di nuovi concetti in Cile nel settore” cfr. doc. E, pag. 5).
A tal proposito esattamente il Giudice di prime cure ha notato “La circostanza di un ulteriore
precedente messaggio concorrenziale del B. verso il B. risulta poco credibile, posto che non è stata
documentata mentre quanto documentato è evidentemente il contenuto di una conversazione
autonoma e completa. Peraltro anche se fosse vero, non vi sarebbe alcuna evidenza concorrenziale in
un messaggio del genere (cambio lavoro, ci sentiamo), posto che abbiamo il messaggio successivo e
che questo non viola in alcun modo il patto di non concorrenza, né come detto vi sono ulteriori
messaggi che in concreto violano il divieto di concorrenza”.
Con il quinto e ultimo motivo di appello, l’appellante sostiene che B. avrebbe invitato la società P. ad
interrompere trattative commerciali con N., proponendo loro una collaborazione con C.P. e, quindi,
violando il P..
Tuttavia, va notato che non è stato evidenziato nemmeno dall’appellante quale nesso causale concreto
vi sia tra l’interruzione delle trattative tra P. e N. e le dimissioni di B.; per altro il rapporto commerciale
tra C.P. e P. dura da anni e non è iniziato con l’assunzione di B., che nulla c’entra.
L’appellante non ha comunque fornito alcuna prova di tale allegazione, posto che non ha chiamato a
testimoniare in primo grado nessun dipendente, commerciale e/o amministratore di P., che avrebbero
potuto rendere testimonianze dirette dei fatti.
Al contrario, i testimoni chiamati ad esprimersi sulla vicenda sono stati tutti dipendenti di N. e, come
sottolineato dal Giudice di primo grado, “scontano già la genericità a monte delle mancata esatta
esplicazione del livello delle “trattative” intessute dalla stessa con P. prima della partenza del B.. Si
dice solo che esse risalgono all’ottobre del 2018, mentre il rapporto della ricorrente col B. cessa il 20
aprile 2019″ così in sentenza.
A tal proposito, il teste G., dipendente di N., ha affermato che “Non so se vi fosse una collaborazione ma
so che si parlava tra loro della produzione e distribuzione di imballaggi a base di alveoli di carta”, per
poi rettificare in un ADR che “si era avviato un inizio di possibile collaborazione” e P. sarebbe stato solo un “potenziale fornitore di alveoli di carta”.
Lo stesso G. ha poi ammesso di non sapere se B. avesse partecipato o meno alle trattative tra C.P. e P.
(“Quello che so è che C.P. e P. hanno una collaborazione, non so se in esclusiva o meno. Non so se B.
prende parte in questo rapporto”. L’appellante, tra l’altro, nulla contesta circa il valore e
l’interpretazione delle testimonianza e valorizzate dal Giudice di primo grado e mette in risalto
solamente il fatto che nel verbale di udienza sia stata indicata “è vero” come risposta al capitolo di
prova 32 di parte ricorrente.
In realtà, il Giudice -che ha raccolto direttamente la prova citata- ha dato una spiegazione in ordine a
tale risposta, evidenziando come la stessa sia stata frutto di un errore visto che: 1) il teste aveva
risposto “è vero” in sequenza rispetto a tutte le precedenti 6 domande (e, quindi, è probabile che chi ha
verbalizzato abbia erroneamente indicato questa risposta anche per il capitolo 32) e 2) una risposta
affermativa al capitolo 32 sarebbe in totale contraddizione con quanto riferito dal teste L. in merito alla
trattativa con P. (“teste L.: “AD: ” Se il teste è a conoscenza di un contratto tra P. e C.P.” Risponde: “
Sono a conoscenza di un accordo di collaborazione commerciale con la P.F. presente che l’accordo è
stato perfezionato, se ricordo bene, dopo l’ingresso di B. in azienda, ma conoscevamo benissimo la P..
La P. per la C.P. è un fornitore” ; ADR: ” B. non ha avuto nessuna influenza nella trattativa con P.,
trattativa iniziata prima dell’ingresso di B. in azienda” ; AD: ” La C.P. ha informato il B. della trattativa
con P. ? ” Risponde” Sì è stato informato quando è entrato in azienda”).
Per tutte le ragioni ora esposte, la sentenza del Tribunale di Ravenna è da ritenersi condivisibile e va
confermata.
Le spese del presente grado seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico dell’appellante, di
un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione exart. 13,
comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte, ogni contraria istanza disattesa e respinta, definitivamente decidendo
Rigetta l’appello,
Condanna N. SPA a rifondere a M.B. le spese del presente grado di giudizio, che quantifica in
complessivi Euro 8.000,00 per compensi oltre ad accessori.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico dell’appellante, di
un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione exart. 13,
comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002.
Conclusione
Così deciso in Bologna, il 19 ottobre 2023.
Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2023.
Lo Studio Legale dell’Avvocato Marco Sartori offre da 40 anni qualificata assistenza con i suoi collaboratori, tutelando il cliente nei contenziosi giudiziali e stragiudiziali; di mediazione e negoziazione assistita e collaborando stabilmente con notai, commercialisti e tecnici di fiducia al fine di offrire un servizio giuridico integrato e completo.
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Studio Legale avv. Sartori Marco – via Roma 43 – 38068 Rovereto – P.iva 00833650229
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