I Supremi Giudici hanno ribadito nell’ultima pronuncia sul tema, n. 31332 del 24.20.2022, in materia di responsabilità civile, la natura unitaria ed omnicomprensiva del danno non patrimoniale deve essere interpretata nel senso che esso può riferirsi a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto non suscettibile di valutazione economica, con conseguente obbligo, per il giudice di merito, di tenere conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze “in peius” derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, e con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici; ne deriva che, a fini liquidatori, si deve procedere ad una compiuta istruttoria finalizzata all’accertamento concreto e non astratto del danno, dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, valutando distintamente, in sede di quantificazione del danno non patrimoniale alla salute, le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera interiore, c.d. danno morale, rispetto agli effetti incidenti sul piano dinamico-relazionale (che si dipanano nell’ambito delle relazioni di vita esterne), autonomamente risarcibili.
La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, già avuto modo di affermare che, con specifico riguardo alla nozione di danno biologico nell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e ai relativi rapporti con le altre voci di danno rientranti nella categoria del danno non patrimoniale, nell’ambito della categoria del danno non patrimoniale (categoria giuridicamente, anche se non fenomenologicamente, unitaria) vi sono alcune voci escluse in apicibus dalla copertura assicurativa INAIL (c.d. danno complementare, definito pure differenziale qualitativo, in relazione al quale non sussiste copertura assicurativa INAIL): il danno biologico temporaneo, il danno biologico in franchigia (fino al 5%,), il danno morale.
Di seguito la sentenza per esteso.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –
Dott. CASCIARO Salvatore – Consigliere –
Dott. FEDELE Ileana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8932/2016 proposto da:
A.A., omissis ;
– ricorrente principale –
contro
I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, omissis;
– resistente con mandato – nonchè contro
AZIENDA SANITARIA LOCALE A.S.L. (Omissis) (già A.S.L. (Omissis)), omissis;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
nonchè contro
A.A.;
– ricorrente principale-controricorrente incidentale – avverso la sentenza n. 2053/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/03/2015 R.G.N. 1328/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/06/2022 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI.
1. La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 2053 del 2015, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da A.A. nei confronti dell’ASL (Omissis), nonchè dell’INAIL, e in parziale riforma della sentenza di primo grado impugnata, ha condannato la ASL (Omissis) al risarcimento in favore dello stesso del danno esistenziale conseguente all’accertamento del demansionamento, liquidato in Euro 29,876,00, oltre interessi legali dalla data della decisione. La Corte d’Appello rigettava l’appello incidentale della ASL (Omissis).
2. Il lavoratore, premesso di essere dipendente della ASL (Omissis) con qualifica di dirigente medico di secondo livello del CCNL Comparto sanità e di aver svolto dal 2001 al 2004 funzioni proprie del direttore sanitario presso il Presidio ospedaliero di (Omissis), che in base all’atto aziendale era struttura organizzativa complessa, aveva agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli in quanto con ordine di servizio del 23 luglio 2004 era stato rimosso dall’incarico e di fatto estromesso da ogni attività.
3. Il Tribunale di Napoli aveva dichiarato l’illegittimità del comportamento dell’ASL convenuta, rigettando tutte le domande risarcitorie e di riconoscimento del trattamento economico di direzione di struttura complessa.
4. La Corte d’Appello rigettava la domanda di differenze retributive a titolo di direzione di struttura complessa in ragione dell’esame dell’atto aziendale e di altra documentazione che faceva escludere la qualificazione come struttura complessa del Presidio ospedaliero di (Omissis), e rilevando che il lavoratore era dirigente medico di primo livello.
Quanto alle domande risarcitorie, la Corte d’Appello, dopo aver confermato la sussistenza del demansionamento illegittimo, svuotamento delle mansioni, almeno a partire dal settembre 2004, rigettava la domanda di danno alla professionalità non avendo il lavoratore allegato elementi utili a sostegno della stessa. Con riguardo al danno biologico, rilevato che il datore di lavoro rispondeva nei limiti del danno differenziale, osservava che nulla era stato precisato nel ricorso, dove non era stata neppure quantificato il danno biologico relativo alla patologia dedotta ed al grado invalidante indicato del 33/34 per cento, da cui l’inutilità della richiesta di CTU medico-legale per l’accertamento del danno biologico subito. Veniva rigettata anche la domanda di danno morale che, attesa la domanda di danno biologico astrattamente risarcibile dall’INAIL, non poteva essere considerata voce autonoma, rientrando nella stessa categoria del danno alla salute.
Il danno esistenziale, tenuto conto delle specifiche allegazioni contenute nel ricorso introduttivo, veniva riconosciuto dal giudice di secondo grado.
5. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando cinque motivi di ricorso.
6. Resiste con controricorso e ricorso incidentale articolato in tre motivi la ASL (Omissis) (già ASL (Omissis)), assistito da memoria.
7. L’INAIL ha deposito mandato alle liti.
8. Il lavoratore resiste con controricorso al ricorso incidentale.
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 416 e 437, c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 Omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360. n. 5, c.p.c., inteso come esame perplesso ovvero incomprensibile, ovvero apparente.
Assume il ricorrente che l’ASL si era difesa deducendo la mancanza in pianta organica ed in atto aziendale del posto di dirigente di II livello per la direzione del Presidio ospedaliero (Omissis).
Di talchè, vi sarebbe stata, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’Appello, da parte del Tribunale la violazione dell’art. 112, c.p.c., nel ritenere prospettata la mancanza del carattere di struttura complessa del P.O. e la qualifica di dirigente medico di primo e non di secondo livello. Inoltre, nella memoria difensiva in appello, la ASL avrebbe introdotto eccezioni e difese non proposte nelle memorie di primo grado in violazione della preclusione ex art. 437 c.p.c. 1.1. Il motivo è inammissibile.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8077 del 2012, hanno precisato che, in ogni caso, la proposizione del motivo di censura resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, nel senso che la parte ha l’onere di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso e le condizioni di procedibilità di esso (in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2. n. 4, c.p.c.), -sicchè l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamato a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato”.
La parte ricorrente è tenuta ad indicare gli elementi individuanti e caratterizzanti il -fatto processuale” di cui richiede il riesame, affinchè il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di specificità del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (cfr., Cass. n. 6225 del 2005; Cass. n. 9734 del 2004).
Tanto non è accaduto nella specie, laddove nel corpo del motivo non sono indicati i contenuti della difesa della ASL in primo grado e delle memorie della stessa in appello, fermo restando che non è contestato in modo circostanziato quanto affermato dalla sentenza di appello e cioè che la qualifica di dirigente di II livello e la natura di struttura complessa del P.O. erano stati prospettati dal ricorrente quali elementi costitutivi della propria domanda, con la conseguenza che tali deduzioni rientravano nel the ma decidendtan sottoposto al Tribunale dal lavoratore.
2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1173, 1175, 1322, 1324, 1362, 1363, 1366, 1375, c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’Atto aziendale ed al CCNL Dirigenza medica dell’8 giugno 2000, tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 Omesso esame di un fatto decisivo ai fini della decisione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, inteso anche come esame perplesso ovvero incomprensibile ovvero apparente.
Il lavoratore censura l’interpretazione che la Corte d’Appello ha dato dell’Atto aziendale, laddove ha escluso la natura di struttura complessa del P.O. di (Omissis) in quanto, quest’ultimo pur essendo individuato nell’Atto aziendale come uno dei quattro presidi attraverso i quali la ASL garantisce l’assistenza sanitaria ospedaliera, era funzionalmente collegato a quello di Pozzuoli sotto il profilo dell’assistenza e della gestione dell’emergenza, tanto che il relativo personale era inquadrato nella pianta organica di quest’ultimo. Il lavoratore riporta il contenuto dell’Atto aziendale e ne desume che il P.O. di (Omissis) era considerato autonomo e distinto, così smentendo che fosse una dipendenza di quello di (Omissis).
Il P.O. in questione non era struttura semplice in quanto aveva numerosi moduli e cioè segmenti operativi, rispetto a cui operavano trentadue unità. Il Piano ospedaliero lo considerava pronto soccorso attivo. I Presidi ospedalieri erano quattro, ed erano strutture complesse. I deliberati aziendali non provavano la natura di struttura semplice ma la intervenuta violazione dell’atto aziendale.
Il ricorrente richiama, quindi alcuni documenti che riguardavano l’attribuzione delle funzioni relative alla direzione sanitaria (funzioni di referente di direzione sanitaria, incarico di direzione U.O. direzione sanitaria Presidio (Omissis)), che è qualificata dall’Atto aziendale come struttura complessa.
3. Con il terzo motivo di ricorso è prospettata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1375, c.c., nonchè degli arti. 112, 115 e 116 c.p.c., in relazione al CCNL Dirigenza medica dell’8 giugno 2000, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 Omesso esame di un fatto decisivo ai fini della decisione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, inteso anche come esame perplesso ovvero incomprensibile ovvero apparente.
Assume il ricorrente che la Corte d’Appello non aveva tenuto conto dell’art. 27 del CCNL sanità che individuava le tipologie di incarichi dirigenziali di direzione di struttura complessa tra cui l’incarico di direttore di Presidio ospedaliero di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992. Richiama quindi la missione del Direttore medico di Presidio come definita dall’atto aziendale. Non era stato contestato che l’Ospedale di (Omissis) fosse un pronto soccorso attivo e che esso ricorrente dal 2001 al 2004 aveva svolto di fatto tutte le funzioni proprie del Direttore medico del suddetto presidio, come provato dalla documentazione in atti. Ciò peraltro non solo nei fatti ma anche in ragione di ordini di servizio.
4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli art. 36 Cost., artt. 2103, 1322, 1223, 2041, c.c., D.Lgs. n. 165 del 2001 artt. 19, 24 e 52, in relazione al CCNL sanità dirigenza medica dell’8 giugno 2000, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 Omesso esame di un fatto decisivo ai fini della decisione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, inteso anche come esame perplesso ovvero incomprensibile ovvero apparente.
E’ contestata la statuizione che non ha riconosciuto la corresponsione dell’indennità mancando il conferimento di struttura complessa. Deduce il ricorrente nel richiamare alcune disposizioni del CCNL Comparto sanità, in particolare gli artt. 35 e 39, che se anche non può trovare applicazione l’art. 2103 c.c., non potrebbe negarsi il diritto alle differenze retributive invocandosi l’equivalenza delle mansioni. laddove le funzioni di direzione di struttura complessa in questione sono state espletate in virtù di puntuali e formali ordini di servizio.
4.1. Il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono inammissibili.
Questa Corte ha più volte affermato che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata, tra cui sono compresi i contratti aziendali, costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione. Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso cui il giudice si è discostato dagli stessi (Cass., 2173 del 2022, n. 4178 del 2007; Cass. n. 1754 del 2006).
Nella specie, la Corte d’Appello ha esaminato l’Atto aziendale e ha rilevato che l’incarico di direzione medica del Presidio ospedaliero di (Omissis) non compariva nell’elencazione delle strutture organizzative complesse individuate nell’ambito della ASL (Omissis), essendo espressamente qualificate tali solo quelle di (Omissis), (Omissis) e (Omissis). Ciò, in quanto, come aveva già messo in evidenza il Tribunale, il Presidio in questione, pur essendo stato individuato nell’Atto aziendale prodotto, come uno dei quattro Presidi attraverso i quali la ASL garantisce l’assistenza ospedaliera era funzionalmente collegato a quello di (Omissis) sotto il profilo dell’assistenza e della gestione dell’emergenza, tanto che il personale era inquadrato nella pianta organica di quest’ultimo.
La Corte d’Appello ha poi esaminato altra documentazione rilevante e le delibere (v., pagg. 4 e 5 della sentenza di appello) che avevano riguardato il ricorrente, rilevando, in particolare, che dalle stesse emergeva il ruolo di referente sanitario, referente della direzione sanitaria, e osservando in conclusione che all’epoca dei fatti l’incarico di direzione del Presidio ospedaliero di (Omissis) non era qualificato formalmente come di struttura complessa dall’atto aziendale della ASL, al quale, ai sensi dell’art. 15-bis del D.Lgs. n. 502 del 1992, spetta l’individuazione delle strutture complesse, e quindi non poteva essere qualificato diversamente dal Collegio. Quindi, non potevano riconoscersi le indennità richieste in quanto non vi era stata la direzione di struttura complessa nè sotto il profilo formale che sostanziale.
L’interpretazione che la Corte d’Appello ha dato dell’Atto aziendale e degli altri atti negoziali presi in esame da cui discende l’esclusione della natura di struttura complessa del Presidio ospedaliero di (Omissis), e il conseguente rigetto della domanda delle relative indennità, è censurata dal ricorrente contrapponendovi una propria interpretazione attraverso la concatenazione operata di stralci dell’Atto medesimo, ma senza denunciare secondo i principi sopra richiamati la violazione delle disposizioni relative ai canoni ermeneutici. Ed infatti, come si è osservato, il ricorrente non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (si v., Cass., n. 21888 del 2016, n. 4460 del 2020, n. 9461 del 2021).
Si osserva, inoltre, che l’art. 27 del CCNL, pur richiamato dal ricorrente, contiene al comma 4 una disposizione transitoria del tutto corrispondente a quella dettata dall’art. 15 quinquies del D.Lgs. n. 502 del 1992 (secondo cui “Ai fini del presente decreto, si considerano strutture complesse i dipartimenti e le unità operative individuate secondo i criteri di cui all’atto di indirizzo e coordinamento previsto dall’art. 8- quater, comma 3. Fino all’emanazione del predetto atto si considerano strutture complesse tutte le strutture già riservate dalla pregressa normativa ai dirigenti di secondo livello dirigenziale”) e prevede che “Per struttura complessa – sino all’emanazione dell’atto di indirizzo e coordinamento previsto dall’art. 15 quinquies, comma 6 del D.Lgs. n. 502 del 1992 e del conseguente atto aziendale – si considerano tutte le strutture già riservate in azienda ai dirigenti di ex II livello” (sulla disposizione contrattuale in commento si veda Cass. n. 23431 del 2017 e n. 9383 del 2017). Dunque le parti collettive ed il legislatore hanno inteso attribuire rilievo non al livello posseduto dal dirigente chiamato ad effettuare una momentanea sostituzione bensì alla riserva effettuata dall’azienda sulla base della pregressa normativa, riserva sulla quale nulla ha dedotto in modo circostanziato il ricorrente.
Si rileva, altresì, che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, conv. dalla L. n. 143 del 2012, prevede l'”omesso esame” come riferito ad -un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico (cfr., Cass., n. 2268 del 2022), non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”, quali quelle interpretative dedotte nei motivi in esame, che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate.
5. Con il quinto motivo di ricorso è prospettata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2087, 2103,1223, 2697, 2729, c.c., e degli artt. 112, 115, 116, 414, c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 Omesso esame di un fatto decisivo ai fini della decisione in relazione all’art. 360. n. 5, c.p.c., inteso anche come esame perplesso ovvero incomprensibile ovvero apparente.
Il ricorrente censura la statuizione che non ha riconosciuto la risarcibilità del danno alla professionalità e del danno biologico.
Dopo aver richiamato i principi enunciati da Cass. n. 6572 del 2006, e dalla giurisprudenza di legittimità in materia, rileva che nella specie ben più di una presunzione, non essendo possibile fornire l’allegazione di ciò che sarebbe stato se non ci fosse stata la dequalificazione, era stata invocata, prospettando una serie di circostanze fattuali, come si evinceva dal ricorso di primo grado, allegazioni che non erano contestate.
Il danno alla professionalità non era prospettato in relazione alla mancata formalizzazione dell’incarico di direzione di struttura complessa ma alla grave palese e ingiustificata dequalificazione, nè per la perdita di chance avrebbero dovuti essere indicati gli incarichi che esso ricorrente avrebbe potuto ottenere. Nè rilevava la mancanza di un diritto all’incarico atteso che nella specie veniva in rilievo il diritto al risarcimento per la dequalificazione professionale.
Quanto al danno biologico il ricorrente contesta che il danno differenziale sarebbe stato identificato nelle sole voci del danno all’immagine, alla vita di relazione e morale, e in proposito rinvia all’esame di alcune pagine del ricorso introduttivo. Il danno differenziale era ricondotto nell’ambito del danno biologico inteso in senso complessivo. Nè il danno morale costituiva duplicazione del danno biologico secondo i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
Assume, quindi, che non sussistono categorie di danni, quanto voci di danno, comunque autonomamente riconoscibili, ove sussistano i presupposti di fatto.
6. Il motivo è fondato e va accolto.
Occorre premettere che in materia di responsabilità civile, la natura unitaria ed omnicomprensiva del danno non patrimoniale deve essere interpretata nel senso che esso può riferirsi a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto non suscettibile di valutazione economica, con conseguente obbligo, per il giudice di merito, di tenere conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze “in peins” derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, e con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici; ne deriva che, a fini liquidatori, si deve procedere ad una compiuta istruttoria finalizzata all’accertamento concreto e non astratto del danno, dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, valutando distintamente, in sede di quantificazione del danno non patrimoniale alla salute, le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera interiore, c.d. danno morale, rispetto agli effetti incidenti sul piano dinamico-relazionale (che si dipanano nell’ambito delle relazioni di vita esterne), autonomamente risarcibili (sul danno non patrimoniale si v., Cass., n. 901 del 2018, n. 23469 del 2018). Questa Corte ha, inoltre, già avuto modo di affermare (Cass., n. 9112 del 2019) che -Con specifico riguardo alla nozione di danno biologico nell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e ai relativi rapporti con le altre voci di danno rientranti nella categoria del danno non patrimoniale, nell’ambito della categoria del danno non patrimoniale (categoria giuridicamente, anche se non fenomenologicamente, unitaria), vi sono alcune voci escluse in apicibus dalla copertura assicurativa INAIL (c.d. danno complementare, definito pure differenziale qualitativo, in relazione al quale non sussiste copertura assicurativa INAIL): il danno biologico temporaneo, il danno biologico in franchigia (fino al 5%,), il danno morale. Invero, l’art. 13 del D.Lgs., n. 38 del 2000 include nell’indennizzo erogato dall’INAIL esclusivamente il danno biologico, inteso come -lesione – pari o superiore al 6% – all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona” valutata secondo una specifica Tabella delle menomazioni (ossia delle percentuali di invalidità permanente, redatta dal Ministero del Lavoro) “comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali”. Se, dunque, la definizione di danno biologico che si ricava dal D.Lgs. n. 38 del 2000 comprende sia la lesione statica che le ripercussioni dinamico-relazionali nella vita del danneggiato, dalla nozione legislativa appaiono senz’altro escluse voci che concorrono pur sempre a costituire il danno non patrimoniale: le lesioni all’integrità psicofisica di natura transitoria (il danno biologico temporaneo), le lesioni sotto una determinata soglia minima, il danno morale ossia la sofferenza interiore (ad esempio il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sè, la paura, la disperazione) che non ha base organica ed è estranea alla determinazione medico-legale”.
La Corte d’Appello non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, in quanto da un lato ha operato una valutazione frazionata del danno non patrimoniale, dall’altro non ha tenuto conto del rapporto, come sopra delineato dalla giurisprudenza di legittimità, tra danno morale e danno biologico risarcibile dall’INAIL. Pertanto, in relazione al quinto motivo del ricorso principale accolto la sentenza di appello va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione che nel decidere la controversia si atterrà ai suddetti principi.
7. Può passarsi all’esame del ricorso incidentale.
8. Con il primo motivo è dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 2909 c.c. e agli artt. 112, 342 e 434, c.p.c. Assume la ASL che il lavoratore non avrebbe appellato l’ulteriore autonoma ratio decidendi della sentenza di primo grado (che riporta nel motivo) che aveva anch’ essa escluso il danno esistenziale e che quindi sul punto si era creato giudicato che sarebbe stato violato dalla Corte d’Appello nell’accogliere l’impugnazione.
9. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che, ove vengano in rilievo atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, c.p.c., n. 3, di carenze motivazionali, ai sensi dell’art. 360, c.p.c., n. 5, o anche di un error in procedendo, come nella specie, è necessario non solo che il contenuto dell’atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, ma anche che ne venga indicata l’esatta allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità, senza che possa attribuirsi rilievo al fatto che nell’indice si indicano come allegati i fascicoli di parte di primo e secondo grado (Cass., S.U., n. 22726 del 2011, Cass., S.U., n. 8077 del 2012).
I requisiti imposti dall’art. 366, comma 1, n. 6, e dall’art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, perchè solo l’esposizione chiara e completa dei fatti di causa e la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori e degli atti processuali rilevanti consentono al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle censure.
Gli oneri sopra richiamati sono altresì funzionali a permettere il pronto reperimento degli atti e dei documenti il cui esame risulti indispensabile ai fini della decisione sicchè, se da un lato può essere sufficiente per escludere la sanzione della improcedibilità il deposito del fascicolo del giudizio di merito, ove si tratti di documenti prodotti dal ricorrente, oppure il richiamo al contenuto delle produzioni avversarie, dall’altro non si può mai prescindere dalla specificazione della sede in cui il documento o l’atto sia rinvenibile e dalla sintetica trascrizione nel ricorso del contenuto essenziale del documento asseritamente trascurato od erroneamente interpretato dal giudice del merito (Cass., S.U, n. 5698 del 2012; Cass. S.U., n. 25038 del 2013, Cass., S.U., n. 34469 del 2019).
Tanto premesso, si osserva che la censura si incentra sul contenuto della sentenza di primo grado e dell’atto di appello del lavoratore, atteso che parte ricorrenti deduce la mancata impugnazione di una delle statuizioni contenute nella sentenza di primo grado, che tempestivamente eccepita, avrebbe dato luogo alla formazione del giudicato.
Tuttavia nel motivo di ricorso, venendo meno il ricorrente incidentale ai suddetti oneri di specificità, non sono riportati i passaggi motivazionali e le statuizioni della sentenza di primo grado rispetto ai quali l’argomentazione della medesima sentenza di primo grado riportata nel motivo costituirebbe autonoma ratio decidendi, e il complessivo motivo di appello.
Pertanto, il motivo di ricorso va dichiarato inammissibile.
10. Con il secondo motivo è dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
La sentenza aveva fondato il proprio convincimento sulla sola testimonianza dell’avv. omissis, senza considerare gli elementi probatori proposti dalla ASL, fin da primo grado, a confutazione del danno esistenziale, quale l’essere il ricorrente membro della Lega navale italiana, e che aveva partecipato alle elezioni per il Comune di (Omissis) nel 2005.
11. Il motivo è inammissibile.
L’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Nella specie, la Corte d’Appello nel vagliare la testimonianza dell’avv. omissis ha preso in esame la ricaduta in termini negativi della vicenda lavorativa all’esame di questa Corte sulle abitudini di vita del A.A., con specifico riguardo al chiudersi in sè stesso, rinunciando alle pregresse relazioni e contatti con gli amici di (Omissis), alla passione per la vela, alla separazione dal coniuge e al giudizio degli abitanti dell’isola circa la vicenda lavorativa che lo aveva interessato, dunque con ampio spettro che tiene conto anche delle ricadute sulla vita sociale e sugli interessi del lavoratore.
Di talchè, la censura si sostanzia in una richiesta di riesame nel merito delle risultanze istruttorie inammissibile in sede di legittimità.
12. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per insanabile contraddittorietà della motivazione. Si contesta la conferma del riconoscimento del demansionamento dal mese di settembre 2004, atteso che la motivazione si fonderebbe su presupposti tanto contrastanti da non renderla conforme al modello legale, in quanto la lavoratrice che aveva assunto le funzioni svolte dal A.A. aveva preso servizio solo nel dicembre 2004 e non nel settembre 2004.
13. Il motivo è inammissibile.
E’ applicabile alla fattispecie l’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo modificato dalla L. 7 agosto 2012 n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 n. 5, c.p.c. ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofi lattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge. Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, “in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella -mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, sicchè quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perchè non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.
La suddetta anomalia non si ravvisa nel caso in esame, atteso che la Corte d’Appello, ha preso in considerazione questa discrasia temporale nelle testimonianze, e ha affermato che la stessa non era idonea ad incidere sull’attendibilità della prova, ove si consideri che non era stata specificata la data di rientro del A.A. presso l’Ospedale di (Omissis), e che l’eventuale imprecisione circa l’insediamento dell’altra lavoratrice era da attribuire al tempo trascorso tra i fatti e la deposizione resa.
14. La Corte accoglie il quinto motivo del ricorso principale. Rigetta nel resto il ricorso principale. Rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo del ricorso principale accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.
15. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
La Corte accoglie il quinto motivo del ricorso principale. Rigetta nel resto il ricorso principale. Rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo del ricorso principale accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 giugno 2022.
Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2022
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