Di recente la Suprema Corte si è pronunciata sul tema della deducibilità dei costi inerenti operazioni con paesi inseriti nella black list e cioè Stati aventi regimi fiscali privilegiati come elencati periodicamente dal Ministero dell’Economia e delle finanze in Gazzetta Ufficiale periodicamente.
E’ opportuno ripercorrere l’evoluzione normativa sul tema al fine di non creare confusione.
La dicitura “regimi fiscali privilegiati” vuole indicare tutti i paesi in cui la tassazione sia notevolmente inferiore rispetto a quella italiana, o quelli che non offrono lo scambio delle informazioni economico finanziarie dei soggetti che intrattengono rapporti economico finanziari con essi.
Ebbene l’art. 110 del TUIR prevedeva, al decimo comma, che «Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati. Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri criteri equivalenti».
All’undicesimo comma prevedeva che «Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione. L’Amministrazione, prima di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento d’imposta o di maggiore imposta, deve notificare all’interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove predette. Ove l’Amministrazione non ritenga idonee le prove addotte, dovrà darne specifica motivazione nell’avviso di accertamento. La deduzione delle spese e degli altri componenti negativi di cui al comma 10 è comunque subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti».
Veniva quindi posto a carico del contribuente l’onere di provare che: a) l’impresa estera esercitasse realmente un’attività commerciale, o b) le operazioni poste in essere fossero dovute a un interesse economico reale.
Tale comma è stato abrogato dall’art. 1, comma 142 lett. a) della L. 208/2015 in quanto era necessario risolvere il contrasto tra il disposto dell’art. 110, comma 10, TUIR e la clausola di non discriminazione contenuta in alcune convenzioni contro le doppie imposizioni (art. 24), ma risultano tuttora in vigore per il periodo d’imposta precedente al 31.12.2015.
Ad oggi, stante la citata abrogazione dei commi da 10 a 12-bis dell’articolo 110 del TUIR e, dunque, della disciplina ad hoc prevista per i suddetti costi si sono verificati i seguenti effetti:
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